Dare addosso a don
Piero Corsi è come chiedere l’abbattimento del pitbull che ha sbranato un
bambino: viene d’istinto, d’altronde abbatterlo può essere anche necessario, ma
farlo distoglie l’attenzione che andrebbe posta sull’addestramento ricevuto
dalla bestia, portando a attenuare o addirittura a trascurare la responsabilità
del suo padrone.
Don Piero Corsi si
sviluppa in questo brodo di coltura, si forma sui testi che gli hanno dato da
leggere in seminario: legge in Tertulliano che la donna è «la porta del
diavolo», in Girolamo che sessualmente è «sempre insaziabile», in Agostino che
deve essere «serva di suo marito», giù, giù, fino a Pio XI, per il quale «il
matrimonio cristiano implica la supremazia del marito sulla moglie», e a Pio
XII, per il quale è «Dio stesso [che] ha voluto questa dipendenza delle mogli».
Che la donna debba vestire in modo castigato, sennò si fa oggetto di
concupiscenza e provoca intenti lascivi, l’ha letto in Paolo, in Giovanni
Crisostomo, e ancora in Agostino, in Gregorio Magno e in Bernardino da Siena,
giù, giù, fino alla condanna della minigonna di monsignor Lefebvre.
(Tratto da http://uaar-it.tumblr.com)
(Tratto da http://uaar-it.tumblr.com)
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