martedì 10 aprile 2012

L'AMORE AI TEMPI DEL COLERA


LA PRIMA NOTTE DI FERMINA DAZA


Fu durante la prima notte di mare calmo, già a letto ma ancora vestiti, che lui iniziò le prime carezze, e lo fece con tanto garbo che a lei parve naturale il suggerimento di mettersi la camicia da notte. Andò a cambiarsi nel bagno, ma prima spense tutte le luci della cabina, e quando uscì con il camicione mise degli stracci nelle fessure della porta per tornare a letto nell'oscurità assoluta. Mentre lo faceva, disse di buon umore: «Che vuoi, dottore. E' la prima volta che dormo con uno sconosciuto.»...
Il dottor Juvenal Urbino la sentì scivolare vicino a lui come un animaletto spaventato, cercando di rimanere il più lontano possibile in una cuccetta dove era difficile stare in due senza toccarsi. Le prese la mano, fredda e contratta di terrore, le intrecciò le dita, e quasi con un sussurro incominciò a raccontarle i suoi ricordi di altri viaggi per mare. Lei era ancora tesa perché tornando a letto si era accorta che lui si era spogliato completamente mentre lei stava in bagno, e questo le aveva fatto rivivere il terrore del passo successivo. Ma il passo successivo ritardò diverse ore, perché il dottor Urbino continuò a parlare molto piano, mentre si impadroniva millimetro per millimetro della confidenza del suo corpo. Le parlò di Parigi, dell'amore a Parigi, degli innamorati di Parigi che si baciavano per la strada, sugli autobus, sulle verande fiorite dei caffè aperti al respiro di fuoco e alle fisarmoniche languide dell'estate, e facevano l'amore in piedi sulle rive della Senna senza che nessuno li infastidisse. Mentre parlava nell'oscurità, le accarezzò la curva del collo con la punta delle dita, le accarezzò la peluria setosa delle braccia, il ventre sfuggente, e quando senti che la tensione aveva ceduto fece un primo tentativo di sollevarle la camicia da notte, ma lei glielo impedì con un impulso tipico del suo carattere. Disse: «Lo so fare da sola». Se la tolse, in effetti, e poi restò così immobile che il dottor Urbino avrebbe potuto credere che non era più lì se non fosse stato per la solarità del suo corpo nelle tenebre. Un attimo dopo le riprese la mano, e allora la sentì tiepida e sciolta, ma ancora umida di una tenera rugiada. Restarono un altro attimo in silenzio e immobili, lui aspettando l'occasione per il passo successivo, e lei aspettandolo senza sapere da dove, mentre l'oscurità si allargava con il suo respiro sempre più intenso. Lui la liberò improvvisamente e fece il salto nel vuoto: si inumidì la punta del medio e le sfiorò il capezzolo impreparato e lei senti una scarica di morte, come se le avesse toccato un nervo vivo. Fu contenta di essere nell'oscurità perché lui non le vedesse il rossore bruciante che la scosse fino alle radici della testa. «Calma» le disse lui, molto piano. «Non dimenticarti che li conosco.» La sentì sorridere, e la sua voce fu dolce e nuova fra le tenebre. «Me ne ricordo molto bene» disse, «e ancora non mi è passata la rabbia.» Allora lui seppe che avevano doppiato il capo di buona speranza, e le riprese la mano grande e soffice, e gliela copri di bacetti orfani, prima il metacarpo aspro, le lunghe dita chiaroveggenti, le unghie diafane, e poi il geroglifico del suo destino nel palmo sudato. Lei non seppe come fu che la sua mano arrivò al petto di lui, e inciampo in qualcosa che non poté decifrare. Lui le disse: «E' uno scapolare». Lei gli accarezzò i peli del petto, e poi afferrò tutto il terreno incolto con le cinque dita per strapparlo dalla radice. «Più forte» disse lui. Lei ci provò, fin dove sapeva di non fargli male, e poi fu la sua mano quella che cercò la mano di lei persa nelle tenebre. Lui, però, non si lasciò intrecciare le dita ma la prese per il polso e le portò la mano lungo il suo corpo con una forza invisibile ma molto ben diretta finché lei sentì il soffio ardente di un animale di carne viva, senza forma corporea, ma ansioso e inalberato. Contrariamente a quanto lui immaginò, compreso il contrario di quello che lei stessa avrebbe immaginato, non tolse la mano né la lasciò inerte dove gliela aveva messa lui, ma si raccomandò anima e corpo alla Santissima Vergine, strinse i denti per paura di mettersi a ridere della sua stessa follia, e incominciò a identificare con il tatto il nemico impennato, conoscendone la grandezza, la forza dell'affusto, l'estensione delle ali, spaventata dalla sua determinazione ma commossa dalla sua solitudine, facendolo suo con una curiosità minuziosa che qualcuno meno esperto di suo marito avrebbe confuso con le carezze. Lui fece appello alle sue ultime forze per resistere alla vertigine dello scrutinio mortale finché lei lo lasciò con una grazia infantile, come se lo avesse tirato nella spazzatura. «Non sono mai riuscita a capire come è quell'apparato» disse. Allora lui glielo spiegò seriamente con il suo metodo magistrale, mentre le portava la mano nei luoghi che menzionava, e lei se la lasciava portare con un'obbedienza da allieva esemplare. In un momento propizio lui suggerì che tutto quello era più facile con la luce accesa. Stava per accenderla, ma lei gli trattenne il braccio, dicendo: «Io vedo meglio con le mani» In realtà voleva accendere la luce, ma voleva farlo lei e senza che nessuno gliel'ordinasse, e così fu. Lui la vide allora in posizione fetale, e per di più coperta con il lenzuolo, nell'improvviso chiarore. Però la vide afferrare di nuovo senza moine l'animale della sua curiosità, lo girò al dritto e al rovescio, lo osservò con un interesse che già incominciava a sembrare più che scientifico, e alla fine disse: «Ma quanto è brutto, è più brutto di quello delle donne» Lui fu d'accordo, e segnalò altri inconvenienti più gravi della bruttezza. Disse: «E' come il figlio maggiore, per cui uno passa la vita a lavorare, sacrificando tutto per lui, e all'ora della verità lui finisce per fare quello di cui ha voglia» Lei continuò a esaminarlo, chiedendo a che cosa servisse questo e a che cosa servisse quello, e quando si ritenne ben informata lo soppesò con le due mani per provarsi che neanche per il peso valeva la pena, e lo lasciò cadere con una smorfia di disprezzo. «E poi, credo che abbia troppe cose in più» disse. Lui rimase perplesso. La proposta originale per la sua tesi di laurea era stata quella: la convenienza di semplificare l'organismo umano. Gli sembrava antiquato, con molte funzioni inutili o ripetute che erano state imprescindibili per altre età del genere umano ma non per la nostra. Sì: poteva essere più semplice e per lo stesso motivo meno vulnerabile. Concluse: «E' qualcosa che solo Dio può fare, certo, ma in ogni modo sarebbe bene lasciarlo stabilito in termini teorici» Lei se la rise divertita, in un modo così naturale che lui approfittò dell'occasione per abbracciarla e le diede il primo bacio sulla bocca. Lei lo corrispose, e lui continuò a darle baci molto delicati sulle guance, sul naso, sulle palpebre, mentre faceva scivolare la mano sotto il lenzuolo, e le accarezzò il pube tondo e liscio: un pube da giapponese. Lei non gli allontanò la mano, ma mantenne la sua in stato d'allerta, nel caso lui fosse andato più avanti. «Basta con le lezioni di medicina» disse. «No» disse lui. «Questa sarà d'amore.»Allora le tolse il lenzuolo di dosso, e lei non solo non si oppose ma lo spinse lontano dalla cuccetta con un colpo rapido dei piedi perché non ce la faceva più a sopportare il caldo. Il suo corpo era serpeggiante ed elastico, molto più serio di quanto sembrasse da vestita, e con un odore proprio di animale di montagna che permetteva di distinguerla fra tutte le donne del mondo. Indifesa in piena luce, una vampata di sangue bollente le salì al volto, e l'unica cosa che le venne in mente per nasconderlo fu attaccarsi al collo del suo uomo e baciarlo a fondo, molto forte, fino a consumare nel bacio tutta l'aria da respirare. Lui sapeva di non amarla. Si era sposato perché gli piacevano la sua alterigia, la sua serietà, la sua forza, e anche per un pizzico di vanità sua, ma mentre lei lo baciava per la prima volta era sicuro che non ci sarebbe stato nessun ostacolo per inventare un buon amore. Non ne parlarono quella prima notte in cui parlarono di tutto fino all'alba, e non ne avrebbero mai parlato. Però alla lunga nessuno dei due si sbagliò. All'alba, quando si addormentarono, lei era ancora vergine, ma non lo sarebbe stata per molto tempo. La notte successiva, in effetti, dopo che lui le ebbe insegnato a ballare i valzer viennesi sotto il cielo siderale del Caribe, lui dovette andare in bagno dopo di lei, e quando tornò in cabina la trovò che lo aspettava nuda sul letto. Allora fu lei a prendere l'iniziativa, e gli si concesse senza paura, senza dolore, con l'allegria di un'avventura d' altomare, e senza altre tracce di cerimonia sanguinosa della rosa dell'onore sul lenzuolo. Tutti e due lo fecero bene, quasi come un miracolo, e continuarono a farlo bene di notte e di giorno e sempre meglio nel resto del viaggio, e quando arrivarono a La Rochelle si intendevano come amanti di vecchia data.

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