L’estasi di Santa Teresa è tra le opere più scenografiche di quelle create da Gian Lorenzo Bernini. Realizzata tra il 1647 ed il 1653, all’interno della Cappella Cornaro, nella Chiesa carmelitana, progettata da Carlo Maderno, di Santa Maria delle Vittorie a Roma, dedicata appunto alla santa spagnola Teresa d’Avila.
L’opera gli fu commissionata dal cardinale originario di Venezia, Federico Corner (Cornaro), giunto da poco a Roma. E probabilmente fu proprio lo stesso cardinale a suggerirgli sia il tema che il significato della Cappella.
Santa Teresa d’Avila, fondatrice dell’Ordine delle Carmelitane, è ricordata dalla Chiesa Cattolica, come tra le sante più spirituali, la quale raggiungeva l’unione mistica con Gesù attraverso l’estasi. Ed è proprio questo l’elemento che il Bernini ha deciso di rappresentare.
La cappella risulta completamente rivestita di marmi pregiati e colorati. All’intero della nicchia notiamo la Santa in atteggiamento di rapimento dei sensi. È raffigurata su di una nuvola, un masso scolpito ad arte, posto in modo più arretrato e nella semi-oscurità, tanto da apparire come realmente sospeso in aria.
Ma l’elemento che maggiormente colpisce, e di cui il Bernini è maestro insuperabile, è l’uso che fa della luce, vera protagonista della scena. Riesce in questo ricavando sopra l’abside, posto dietro la statua, una finestrella perfettamente nascosta all’osservatore. Da questa finestra entra un fascio di luce gialla, che va ad illuminare direttamente il gruppo scultoreo. Per accentuare l’effetto della luce, il Bernini decise di inserire all’opera una serie di raggi dorati, che hanno il compito di esaltare la luce che viene dall’alto.
L’estasi mistica colta dal Bernini è un misto tra amore mistico e sensualità. L’artista ha colto dalla testimonianza della santa il modo con cui rappresentarla. La Santa scriveva: “L’anima mia si riempiva tutta di una gran luce, mentre un angelo sorridente mi feriva con un pungente strale d’amore.”
Difatti vediamo la santa con le vesti scomposte, abbandonata, quasi come fosse stata colta da uno svenimento. Il capo è inclinato, rovesciato all’indietro, la bocca è semi-aperta. Accanto a lei un angelo che la trafigge con una freccia. Quest’ultimo è rappresentato come un putto dell’antichità. Proprio dall’angelo si evidenziano i contrasti dell’opera tutta. Da un lato la morbidezza e delicatezza dell’incarnato dell’Angelo, dall’altro invece la santa dalle vesti scompigliate dal vento.
Il Bernini ha quindi preferito rappresentare il momento culmine dell’estasi, quello che maggiormente trasmette emozioni e sensazioni forti. Cosa che al tempo, non lo escluse dalle polemiche.
L’effetto è davanti ai nostri occhi, e questo dovette colpire chi per primo godette della vista di quest’opera. Nell’oscurità della chiesa ecco aprirsi una luce immensa e con lei restare rapiti dalla santa colta dall’estasi. Ecco che la cappella si trasforma nel palcoscenico di un teatro.
E fu proprio questa l’intenzione del Bernini, il quale ai lati della cappella di santa Teresa, pose altre due cappelle, poste nella semi-oscurità, che accoglievano le effigi della famiglia del committente, i quali sono raffigurati mentre osservano rapiti l’estasi della santa, come se, appunto, la stessero osservando da un palco a teatro.
In questa opera, tra le più barocche dell’epoca, il Bernini fonde insieme scultura, architettura, pittura e decorazione, e questo grazie al sapiente uso della luce e della scenografia che ne ha saputo fare.
“Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era cosi vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era cosi grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cosi soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento”.
Santa Teresa d’Avila il cui nome civile era Teresa Sánchez de Cepeda Ávila y Ahumada, nacque ad Ávila il 28 marzo 1515, morì ad Alba de Tormes il 15 ottobre 1582, venne santificata il 12 marzo 1622 e nel 1970 è stata dichiarata Dottore della Chiesa.
Fin dall'inizio
della mia vita Ho cercato il tuo volto ma oggi l’ho visto.
Oggi ho visto il fascino, la bellezza, la grazia ineguagliabile del viso che stavo cercando.
Oggi ho trovato te e coloro che ieri
ridevano di me e mi schernivano oggi si dispiacciono di
non aver cercato te come ho fatto io.
Sono sconcertato dalla magnificenza della tua bellezza e pervade in me il
desiderio di osservarti con almeno un centinaio
di occhi
Il mio cuore brucia di passione per questa meravigliosa
bellezza. Che ha sempre cercato
ecco che ora mi vergogno di chiamare questo amore
umano e ho paura di Dio nel chiamarlo divino.
Il tuo respiro profumato come la brezza mattutina ha destabilizzato la
quiete del giardino. Hai profuso nuova vita
in me sono diventato il tuo
sole e anche la tua ombra.
La mia anima sta impazzendo di gioia Ogni fibra del mio
essere è innamorata di te
la tua presenza ha acceso un fuoco nel
mio cuore per mela terra e il cielo.
La mia freccia d'amore è giunta a destinazione Sono nella casa della
misericordia e il mio cuore è un luogo di preghiera